Susa, antica porta d’Italia

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Autore Alessandro 18 Ottobre 2022
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Iniziamo la nostra esplorazione della Val di Susa partendo dalla città princiale: Susa, da millenni crocevia degli itinerari transalpini fra Italia e Francia lungo i quali transitavano carovane di merci e uomini in pellegrinaggio per Roma.

Sul borgo, chiamato Segusium sotto il regno dei Cozii (dal gallico sego: forte), convergono le strade che portano al Monginevro, al Moncenisio, e al Colle delle Finestre.

La mappa: Susa (TO)

Nella mappa qui sotto abbiamo indicato i punti di interesse storici in marrone, quelli naturali in verde e la pista ciclo-pedonale in fucsia.

Abbiamo segnalato inoltre i parcheggi dove ad oggi (Ottobre 2022) è tollerata la sosta in camper o van. Abbiamo segnalato anche il parcheggio dedicato ai camper. Infine abbiamo contrassegnato i punti in cui è possibile approvvigionarsi di acqua.

Tutte queste informazioni, così come il fatto che il parcheggio venga tollerato, potrebbero in futuro variare.

Le principali vicende politiche di Susa

Difficile stabilire l’epoca in cui la città fu abitata per la prima volta e le popolazioni che vi si stabilirono. Certo è invece che tra esse ci furono i Liguri e successivamente i Celti (500 circa a. C.) che si fusero con le prime popolazioni.

Le prime notizie documentate di Susa risalgono a quando era capitale del Regno dei Cozii, nella provincia detta delle Alpi Cozie.

Intorno al I sec a.C. vi giunsero i Romani guidati da Giulio Cesare che battendosi con le popolazioni locali, stabilirono con Donno, il loro re, un patto di alleanza, volto ad assicurare un transito sicuro verso la Gallia, a truppe e merci, dai valichi del Colle Clapier e del Colle del Monginevro.

L’Arco di Augusto edificato nell’8 a.C. e presente ancora oggi ne celebra la pace nelle decorazioni del frontone. I buoni rapporti sanciti dalla costruzione dell’arco continuarono per un lungo periodo.

Nel III secolo la città si dotò di una cinta muraria. Le tracce delle antiche mura ancora conservate lungo la via dei Fossali (attuale Corso Unione Sovietica). Ma ciò non fu sufficiente a metterla al riparo dall’assedio e dall’incendio da parte delle truppe di Costantino nel 312.

Nel 476, Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente, iniziò per Susa un periodo di decadenza. Dopo la morte di Odoacre, divenne parte del Regno ostrogoto di Teoderico. Con la fine guerra gotica venne assimilata della Prefettura del pretorio d’Italia sino alla conquista da parte delle truppe di Alboino e l’annessione al Regno Longobardo.

Approfittando del periodo d’anarchia seguito alla morte di Clefi, il merovingio Gontrano, re dei Franchi d’Orléans, sconfisse i longobardi, annettendo Aosta e Susa nel 575. A seguito della conquista del regno longobardo da parte di Carlo Magno nel 774 seguirono le sorti del regno d’Italia.

Nel XI secolo Susa divenne uno dei perni della dominazione degli Arduinici di Torino e primo avamposto dei Savoia grazie alle nozze tra la contessa Adelaide, figlia di Olderico Manfredi marchese di Torino, e Oddone di Moriana, figlio di Umberto Biancamano.

Il Castrum romano diviene così appannaggio del poter sabaudo e Susa residenza di nobili famiglie e della borghesia mercantile.

Del Medioevo rimangono diversi complessi monumentali, come il Castello della Contessa Adelaide, la Pieve battesimale di Santa Maria Maggiore, l’Abbazia di San Giusto, il Convento di S. Francesco, le case medioevali porticate, la casa De Bartolomei e le due torri nel centro della cittadina.

La sua posizione strategica e rivolta verso le terre del Delfinato comporta un notevole sviluppo della piazza militare e intorno alla metà del ‘500, sotto il Duca Carlo Emanuele I di Savoia, viene costruito un moderno assetto difensivo: le colline rocciose che circondano il paese divengono così sede di imponenti fortificazioni per il controllo dei valichi.

Quando Susa viene presa da Napoleone, le fortificazioni vengono smantellate e le viene conferirito il titolo di città.

Nel 1854 venne raggiunta dalla ferrovia con la linea Torino-Susa, di cui rimane quasi intatta la stazione di testa. Fra il 1868 e il 1871 divenne interscambio con la Ferrovia del Moncenisio a Sistema Fell, parte della Valigia delle Indie.

Cosa vedere

Grazie alla sua storia, Susa presenta una quantità incredibile di edifici e luoghi di interesse storico, soprattutto se visti in rapporto alle dimensioni contenute dell’abitato.

Numerosi sono i monumenti, i reperti celtici, romani e medioevali, come gli altari sacrificali e le altre rocce coppellate, l’acquedotto romano di Graziano, il Castrum romano, l’arena Antonina e la Porta Savoia a cui venne addossata la Cattedrale di San Giusto, le case urbane medioevali, il castello e i resti del poderoso Forte Brunetta.

Diversi complessi religiosi dalla differente identità, tra cui la Cattedrale di San Giusto (anticamente Abbazia benedettina), il complesso di Santa Maria Maggiore (canonicato agostiniano) e di San Francesco (primo convento francescano in Piemonte).

Area archeologica di Susa

Segusio, l’area archeologica di Susa compresa tra l’Arco di Augusto, gli Archi dell’acquedotto e la spianata del Castello della contessa Adelaide presenta un insieme storico-monumentale di immenso rilievo, legato alla romanizzazione del distretto alpino, alla fortificazione tardoantica e all’incastellamento medievale.

In piazza Savoia, sulla quale si erige la Porta del Paradiso - unica porta urbica di epoca romana ancora conservata - sono affiorati durante i lavori di sistemazione svolti tra il 2005 e il 2008 i resti del Tempio del foro.

Le prime indagini archeologiche hanno portato in luce, nel cortile del castello Castello, una serie di strutture riferibili al primitivo palazzo del governatore della provincia romana delle Alpi Cozie (Praetorium).

Tra le strutture più antiche (I secolo d.C.) vi è, appena oltrepassato l’arco dedicato ad Augusto, un ingresso monumentale con scalone in pietra che doveva servire per superare il dislivello tra il piano stradale e l’entrata del palazzo del governatore.

Sono inoltre stati individuati lacerti di pavimentazioni a mosaico o in battuto di malta, collocati su ambienti di sostruzione con volte a botte. Tali ambienti sono rimasti in gran parte immutati e costituiscono da secoli le cantine del castello.

Accedendo dalla porta tardo-antica vi sono degli scavi a celo aperto in cui sono visibili alcuni ambienti del pretorio: una cisterna e una latrina tardo-antiche, collegate e al tratto terminale dell’acquedotto che vi arriva da ovest (le cosiddette “Terme Graziane”).

A sud del centro antico, tra la strada S. Francesco e la strada della Consolata, si incontra l’Anfiteatro romano di Segusio.

Anfiteatro romano o Arena Antonina (II sec. d.C.)

Nella nostra esplorazione di Susa abbiamo deciso di partire dall’Anfiteatro Romano (o Arena Antonina), nel quale si svolgevano i combattimenti fra gladiatori e le scene di caccia dette venationes.

Probabilmente sommerso dalle inondazioni del torrente Gelassa nel 1610 e nel 1728, venne riportato alla luce solo negli anni ‘60 del 900.

I primi sondaggi del sito archeologico risalgono al 1881, a seguito di lavori agricoli che ne rilevarono la presenza dei resti. Le indagini vennero interrotte e ripresero nel 1928, ma lo scavo definitivo che portò alla luce l’anfiteatro partì solo nel 1956. Nel 1969 il sito fu aperto al pubblico.

La struttura ha forma ellittica di piccole dimensioni - 45 m sull’asse maggiore, 37 m su quello minore - e ansieme all’anfiteatro di Cemenelum-Cimiez in Francia, costituisce uno dei più piccoli edifici di spettacolo del mondo romano.

Le gradinate sfruttano la pendenza della montagna. Nella cavea è ricavato un cunicolo anulare con volta a botte che corre lungo il muro (podium), alto 2,60 m, che circonda l’arena ed è dotato di fauces (aperture) verso le carceres (camere), che servivano ad accogliere gli animali prima dei combattimenti.

In estate, al tramonto, l’ultimo punto toccato dal sole è la tribuna d’onore orientale, lungo l’asse minore dell’anfiteatro: queste erano probabilmente le due tribune destinate agli spettatori più illustri.

Il podio era finemente intonacato e probabilmente decorato con sculture architettoniche. Nel Museo Civico di Susa è conservato un interessante bassorilievo, rinvenuto nell’anfiteatro, che rappresenta una figura femminile che regge un pugnale nella mano destra.

Alle estremità dell’asse maggiore si trovavano gli ingressi - probabilmente in origine dotati di porte monumentali - dai quali entravano gli spettatori.

L’aspetto recente dell’edificio è dovuto alle vicende che lo sconvolsero: l’abbandono, le distruzioni belliche, i vandalismi, gli smottamenti di terreno, le alluvioni e le inondazioni.

Il complesso è aperto al pubblico tutti i giorni dalle 9.00 al tramonto, con accesso libero e gratuito.

Terme Graziane e acquedotto romano (IV sec. d.C.)

Percorrendo Via Asietta, e imboccando Via degli Archi, dopo alcuni gradini ci troviamo di fronte ai resti di antichi archi.

Ci si è a lungo interrogati sull’origine di questi archi, riscoperti solo nel 1834. L’ipotesi più accreditata - grazie al confronto con analoghe strutture, e ad alcuni ritrovamenti in loco - è che si tratti di ciò che resta di un acquedotto databile al IV sec. d.C..

All’interno del recinto del castello – e in altri punti della città - furono infatti rinvenuti sistemi di canalizzazione e conservazione dell’acqua. Si presume che tale struttura servisse per trasportare l’acqua pescata probabilmente dalle terre di Gravere fino a Segusium dove veniva poi spartita tra i bagni pubblici e le Terme Graziane, fatte costruire dagli Imperatori Graziano, Valente e Valentiniano, tra il 375 e il 378.

Il nome delle terme (Graziane) è stato dedotto da un’epigrafe, rinvenuta a Susa ed ora perduta, che le cita assieme all’acquedotto che le alimentava.

Durante un intervento di restauro degli archi fu poi riscontrata, nella parte superiore, la presenza di un condotto per l’acqua in cocciopesto.

Tra gli storici non mancò chi ipotizzò che le arcate fossero parte di una struttura difensiva e chi le ritenne costruzioni sacre, poichè si univano al torrione sotto il quale la leggenza voleva si trovasse la tomba del re Cozio.

Gli archi in effetti divennero davvero parte di una struttura difensiva, ma tale non era certamente la prima funzione. Nel Medioevo infatti, durante le invasioni barbariche, furono trasformati in porta urbica (lo testimonia la presenza di una soglia e alcuni segni di lavorazione per inserirvi una porta) e collegati attraverso opere murarie alla cinta difensiva del Castello, insieme all’arco di Augusto.

La muratura si divide in due parti: quella inferiore è formata da blocchi di pietra calcarea squadrati in modo irregolare e da conci di marmo reimpiegati, mentre quella superiore, forse posteriore, è costituita da pietrame irregolare, con un paramento in ciottoli e piccole pietre squadrate, legati da malta.

L’arcata principale fu realizzata con un taglio nella roccia tale da permettere il passaggio di una strada: la via romana per il Monginevro, forse la Via delle Gallie.

Le aperture furono poi murate e solo negli ultimi venti anni dell’Ottocento furono eliminati i riempimenti di tamponatura. Sotto l’arcata minore si trova un pozzo scavato nella roccia dai celti (oggi coperto da una griglia di sicurezza), la cui datazione è incerta (V – I sec. a.C.).

Adiacente alle coppelle si trova un pozzo scavato nella roccia, , anch’esso risalente all’età celtica.

L’area è sempre accessibile

Ara celtica sacrificale (II-I sec. a.C.)

Nei pressi dell’acquedotto romano si trovano degli affioramenti rocciosi, probabilmente adibiti ad altare dai Celti (come quelli presenti sotto il vicino Arco di Augusto), nel quale sono riscontrabili le caratteristiche incisioni a coppellette.

Il ritrovamento avvenne solo nel 1949, quando venne rimossa dalla roccia la coltre erbosa che la ricopriva, riportando alla luce le incisioni.

Le coppelle e le vaschette di fattura precisa e accurata sono collegate da canaletti rettilinei o serpeggianti. La vaschetta e i canaletti presentano sezioni squadrate e le coppelle sono perfettamente levigate.

Ciò denota l’uso di attrezzi metallici, come provano anche una serie di sette gradini ortogonali (anteriore agli archi dell’acquedotto) che continuano sotto il pilastro romano e paiono essere in relazione con il complesso delle incisioni. Si ipotizza una funzione di ara pagana adibita a sacrifici cruenti.

Le coppelle
Le coppelle

Si ritiene che i druidi usassero queste roccie come altari sacrificali per animali ed esseri umani e che, in base alla direzione che il sangue seguiva nelle incisioni, ne traessero i loro auspici.

Così come l’apertura della via, ottenuta mediante due tagli paralleli che recano ancora i segni dei colpi di piccone.

Considerato sia l’evidente utilizzo di strumenti metallici, che la priorità rispetto alla costruzione romana dell III sec. d.C. si può ipotizzare che le strutture risalgano all’età del Ferro in un tempo in cui i Celti erano già insediati in Piemonte (II-I sec. a.C.)

Arco di Augusto (9 - 8 a. C.)

Oltrepassando l’antico acquedotto romano ci imbattiamo nell’Arco di Augusto, costruito su un altare di origine celtica volto verso il Rocciamelone.

Eretto sull’antica strada delle Gallie da Cozio, re dei Segusii, reggente dell’antico regno alpino di Donno, per siglare la pace con Augusto vincitore, l’imponente Arco di Augusto domina la città di Susa incorniciando il Rocciamelone, montagna già sacra ai Druidi.

Rivestito da blocchi di marmo bianco proveniente dalle vicine cave di Foresto, è molto ben conservato.

La grande iscrizione celebrativa, ripetuta su ciascun lato e il fregio sottostante ne ricordano il trattato e l’alleanza stipulata con Roma intorno al 13 a.C.

Con il trattato di pace il territorio della città entrava a far parte dello Stato Romano, gli abitanti celti divenivano cives di diritto latino e il re Cozio assumeva lo status di cavaliere romano e il nome della dinastia Iulia, divenendo prefetto di 14 città delle Alpi Cozie.

Sui lati lunghi dell’arco (nord e sud) è rappresentata una triste scena di suovetaurilia: il sacrificio compiuto da Cozio alla presenza dei Romani, chiamato così dal nome delle povere vittime sacrificate per siglare l’alleanza: un maiale, sus, un ariete, ovis, un toro, taurus.

L’area romana è sempre accessibile.

Mura romane di Susa (XII sec.)

Le notevoli vestigia romane di Susa, includono una cerchia di mura pressoché intatta, risalente nelle parti più antiche al III secolo.

In buono stato di conservazione per la maggior parte del tracciato, secondo alcuni studiosi rappresenta uno dei migliori esempi conservati di città fortificata gallica della tarda antichità e aiuta il centro storico di Susa a mantenere la peculiare forma urbis medievale della città, passata pressoché indenne attraverso i secoli, nonostante alcune ricostruzioni settecentesche.

La cinta muraria di Segusium comprendeva cortine a sacco in muratura (pietrame), riempite con materiali di recupero e intervallate da torri di raccordo aperte sul lato interno. Vi si aprivano le diverse porte di origine romana, tra cui una porta urbis, la Porta Savoia, ancora integra ed utilizzata oggi.

Fu eretta probabilmente intorno al terzo secolo - modificando l’assetto urbano preesistente e tagliandone fuori ampie porzioni, come ad esempio il foro - per difendere Susa, porta di accesso all’Italia dal Nord-Europa, dai possibili attacchi dei barbari ed è caratterizzata da un peculiare aspetto triangolare, ancora oggi dibattuto dagli studiosi.

Probabilmente un lavoro fatto in urgenza, come testimoniano gli ampi reimpieghi di materiale lapideo e addirittura marmi, come i torsi oggi conservati al Museo di Antichità di Torino, recuperati dalla cinta segusina.

Caposaldo della cinta doveva essere già in epoca romana il palacium che sorgeva sulla rocca della città. Nel 312 Costantino conquistò la città, alleata con Massenzio. Intorno al X secolo il palacium sulla rocca dovette essere stato sostituito dal castello medioevale.

Facendo immaginariamente perno sul castello al triangolo costituito dalle mura, si può percorrere a sud il primo cateto, la cinta munita di torri lungo la zona dei Fossali (così chiamata per un antico vallo che proteggeva le mura) che culmina a oriente nella Porta di Piemonte.

Sulla parte che da est va a nord, ipotenusa immaginaria del triangolo di cinta, la cerchia si avvicinava gradualmente al fiume della Valle di Susa, la Dora Riparia. Nel tratto più vicino al fiume, sullo spigolo nord-ovest, le mura fanno angolo con l’altro cateto, che va di nuovo a impostarsi sul castello e sul quale si apre la occidentale Porta Savoia.

Con la conquista da parte di costantino il primo recinto venne munito di altre porte fortificate per permettere le comunicazioni con l’esterno, come quella che doveva sorgere nei pressi della chiesa di Santa Maria Maggiore e della Casa dei Canonici. Sulla spianata a ovest delle mura dovette in seguito sorgere un secondo caposaldo, la torre del Vescovo, detta di S. Andrea.

Un secondo recinto, racchiudeva gli spazi della città occupati dai nobili e probabilmente dai mercanti.

Rimangono, quali vestigia di un tempo che fu, antichi portali di palazzi nobiliari e una casa-forte che ricorda la Casaforte di Chianocco.

Durante il Medioevo sono stati compiuti rimaneggiamenti e adattamenti e, stando alle notizie tramandate dal Settecento, l’altezza delle mura deve essere stata dimezzata da 12 a 6 metri. Analoga sorte, ma con un ribassamento meno cospicuo, ha subito la Porta Savoia, mentre in epoca imprecisata sono andate distrutte quasi del tutto le altre due porte urbane.

La parte sud-est è stata manomessa con interventi del primo ‘900, ma i vicini fossali mantengono il fascino antico.

Porte romane di Susa

Risalenti al III-IV secolo, si aprono nelle mura romane di Susa e i loro resti principali sono visibili in tre punti della cittadina: a ovest, Porta Savoia, quasi completamente conservata, sul lato sud-ovest dove si conserva un ulteriore resto di porta romana, detta Porta di Francia, ed a est, ove si trova una delle torri laterali della Porta di Piemonte.

Essendo Susa un importante crocevia dell’antica strada delle Gallie prima e della Via Francigena poi, i nomi delle porte si devono alle tre diverse regioni cui danno accesso: nella direzione del Nord Europa, alla Savoia attraverso il Moncenisio, nella direzione dell’Europa del Sud-Ovest alla Francia meridionale tramite il Colle del Monginevro e nella direzione dell’Italia, il Piemonte.

Porta Savoia (III - IV sec. d.C.)

In direzione Via Impero Romano si attraversa Porta Savoia, antica porta romana di accesso orientale ottimamente conservata, anche chiamata del Paradiso per la sua collocazione vicina al cimitero della Cattedrale di San Giusto.

Porta di Piemonte (III - IV sec. d.C.)

Nella odierna Piazza Trento, aderente a Casa de Bartolomei, è stata riscoperta negli anni ‘90, demolendo un avancorpo settecentesco, Porta di Piemonte.

Di identica fattura a Porta Savoia, conserva una delle due torri cilindriche, alta circa tre piani a sostegno dell’attuale torre civica di Susa.

Nel Medioevo era detta Porta Merceriarum per la sua collocazione nei pressi di edifici utilizzati quali magazzini dei mercanti che facevano base a Susa prima di oltrepassare il Moncenisio.

Porta di Francia

Conosciuta nell’antichità come Porta pedis castri e come Porta Castello, si unisce da un lato alle Mura romane di Susa e dall’altro allo spigolo meridionale del Castello della Contessa Adelaide.

Cattedrale di San Giusto (XII sec.)

La cattedrale di San Giusto, fondata come Abbazia benedettina all’inizio dell’XI secolo dalla dinastia arduinica – edificata fuori dalle mura di Susa a partire dal 1011 e consacrata nel 1027 - è tra le meglio conservate di questo tipo in Piemonte.

Dal 1029 al 1581 fu affidata ai Benedettini. Nel 1583 sopraggiunsero i canonici Lateranensi e nel 1749 i canonici della chiesa di Santa Maria Maggiore, trsformati in preti secolari da una bolla papale del 1772 e San Giusto divenne cattedrale.

L’edificio originale era a tre navate con cinque absidi coperte da soffitti lignei.

Il campanile romanico in pietra e a base quadrata è alto 51 m e appartiene alla prima costruzione. Presenta sei piani e termina con strutture gotiche realizzate dopo il 1481, una slanciata cuspide ottagonale fra quattro alti pinnacoli in cotto ricoperti di lamiera fra cui corre una balaustra traforata in cotto con doccioni in pietra.

Il locale al piano terra presenta affreschi del terzo decennio del secolo XI, frammentati per cadute di intonaco: nella parete meridionale un velario reca, nei riquadri inferiori di ogni drappo, tracciati a monocromo, le figure di animali fantastici; prosegue nella parete occidentale con figure mutile di animali e uomini e nella parete settentrionale con la figura di guerriero con baffi, cotta ed elmo a punta.

Gli esterni

La facciata della cattedrale, addossata alla torre romana, ha un semplice portale.

Sul fianco destro, meridionale, sotto gli archetti dell’ordine inferiore presenta un fregio romanico con animali e due figure di santi, risalente alla prima fase costruttiva.

Il portale dietro il campanile, ha la lunetta affrescata con la Crocifissione, databile tra il 1125 e il 1130, mentre a destra, inserito in una cornice dipinta, un affresco raffigura due angeli che reggono le insegne del cardinale Guglielmo d’Estouteville, realizzati negli anni compresi tra il 1457 e il 1483.

Nell’arco a carena rovesciata, che sormonta la porta d’ingresso del Battistero, è dipinto l’ingresso di Cristo a Gerusalemme, opera realizzata tra il 1483 e il 1490.

Il portale laterale esterno formato da pannelli rettangolari riccamente scolpiti è invece databile alla fine del XVII secolo.

Nella parte posteriore della chiesa vi sono l’abside gotica semicircolare e l’alzata della navata mediana, coronata da archetti intrecciati e sormontata da un piccolo campanile gotico, detto dei canonici, con due piani di monofore, che termina con una alta cuspide.

L’interno

La Cattedrale ha forma di croce latina, con tre navate e un transetto.

Le tre navate sono separate da pilastri di forma irregolare, con evidente derivazione della forma a T primitiva, che nei primi due poteva anche essere cruciforme; la navata centrale ha volte a sesto acuto.

Nel fianco sinistro della navata si aprono cinque cappelle con altari barocchi, come nel braccio sinistro del transetto e nella navata. La navata destra ha la medesima copertura di quella sinistra; termina con presbiterio voltato a crociera ed abside rettangolare voltata a botte con cupolino.

Di fianco al campanile sono ricavate due cappelle: una coperta da volta retta da arconi, l’altra costituita da un solo nicchione arcato.

In prossimità del transetto destro restano parti della cappella di san Mauro, con affreschi recanti storie benedettine che risalgono all’inizio del XII secolo.

Nel sottarco della cappella sono state ritrovati gli affreschi di teste di profeti di fattura quattrocentesca.

Presso l’altare delle reliquie, nel transetto a destra, è conservato un trittico, databile agli anni 1490-1500, proveniente dalla certosa di Banda, presso Villarfocchiardo. Il dipinto rappresenta al centro la Madonna col Bambino, ai lati i santi certosini Ugo di Lincoln e Ugo di Grenoble, sul coronamento l’Eterno benedicente.

Tra i dipinti collocati in sacrestia e nella sala capitolare si segnalano il polittico di san Nicola, dipinto su legno della fine del XV secolo, e la Natività di Defendente Ferrari, databile verso il 1518.

Nella cappella delle reliquie sono stati ritrovati resti di decorazione ad affresco risalente al XIV secolo e, al di sotto, tracce di un velario risalente alla decorazione precedente.

Nella navata centrale sono state ritrovate pitture trecentesche con motivi cosmateschi e sono tornati alla luce, in seguito ad indagini archeologiche, centinaia di frammenti di intonaco affrescato, con ornamentazioni geometriche, qualche lettera e parti di figure.

Nel sottotetto del battistero, difficilmente accessibile, sono stati studiati i resti di pitture romaniche (secondo quarto del secolo XI) rappresentanti gli apostoli seduti a gruppi di tre intervallati da una figura in piedi, di cui resta solo la parte inferiore.

L’altare della cattedrale di Susa, in marmo cipollino di Susa, collocato ora nella sala capitolare, reca la firma di Pietro da Lione (“Petrus lugdunensis me fecit”) ed è databile agli anni 1220-1230. La provenienza è dubbia: forse era l’antico altare maggiore, sostituito da quello odierno nel 1724 o forse proviene dall’antica chiesa di Santa Maria Maggiore.

Capitelli in pietra scolpiti del XIV secolo, con figure umane grottesche e decorazioni di tipo corinzio, si trovano sulla porta principale, su alcune colonne del transetto, del presbiterio e dell’abside.

La grandiosa Vasca battesimale trecentesca, collocata nel Battistero presso l’attuale ingresso laterale della chiesa, è scavata in un solo blocco di marmo verde di Foresto e ha forma ottagonale.

Il coro ligneo

Costituito da 18 stalli maggiori addossati all’abside e da solo alcuni degli stalli minori originari, si ritiene provenga dalla chiesa di Santa Maria Maggiore di Susa (chiusa al culto nel 1749) ed è un rarissimo esemplare dell’arte dell’intaglio ligneo del terzo decennio del XIV secolo circa.

L’autore fu verosimilmente un maestro oltrealpino. Si tratta del più antico insieme di stalli superstite nel Piemonte occidentale, uno dei più antichi dell’Europa medioevale e presenta un ricco repertorio iconografico.

Un leggio ligneo presenta una decorazione ricca e fantasiosa, ma di minore qualità esecutiva rispetto al coro. Le quattro facce del mobile sono intagliate con monofore, archi moreschi, gigli di Francia, scene di caccia con animali in fuga. L’esecuzione, databile alla fine del XV secolo, si deve ad una maestranza locale.

Addossata alla parete della navata destra vi è una statua lignea rivestita con una vernice bronzea, databile intorno al 1520, che si credeva rappresentasse la marchesa Adelaide di Susa, ma la tipologia iconografica è però quella della Maddalena e forse faceva parte di un gruppo scultoreo del Calvario.

Addossati ai pilastri della terza cappella a sinistra figurano due statue lignee della fine del XVII secolo, san Michele e a destra un angelo custode. Nella VI cappella a sinistra, altre tre statue in legno databili tra la fine del XVII secolo e l’inizio del successivo. Nella sacrestia un Crocifisso del 1520.

In corrispondenza della navata sinistra, è ancora chiaramente visibile un tratto della struttura romana in un’intercapedine del muro di facciata.

La cripta

Smontato per la prima volta il coro ligneo risalente al ‘300 per un restauro, sono emersi dei resti. Dallo scavo, effettuato sotto il pavimento dell’abside, è comparsa la cripta della cattedrale, risalente all’XI secolo.

In nessuna fonte storica era accennata all’esistenza di una cripta all’interno della cattedrale. Lo scavo ha permesso il ritrovamento di una stanza ipogea perfettamente conservata, con una scala ad anfiteatro, stucchi meravigliosi che rappresentano animali, capitelli, una lastra romana dedicata a Minerva, e quello che probabilmente era un reliquiario in bronzo dorato.

Strutture di questo tipo e di questa integrità si possono ritrovare solo nella vecchia struttura, oggi non più esistente, della basilica di San Pietro a Roma o nella cattedrale di Ravenna.

Questi motivi hanno spinto la soprintendente a chiedere al Ministero un intervento economico straordinario per portare avanti i lavori allo scavo.

Come la cripta possa essere stata coperta rimane un mistero. Le ipotesi più probabili sono un terremoto o una calamità improvvisa, poiché la struttura è stata seppellita di colpo, lasciando ogni cosa al suo posto.

Torre del Parlamento

Nel cuore commerciale della vecchia Susa, in un angolo dell’attuale via Francesco Rolando troviamo la Torre del Parlamento.

Sulla torre, massiccia e robusta e un po’ degradata, si possono notare due serie di archetti pensili, una monofora e, sulla sommità, dei merli.

Casa de’ Bartolomei

Casa de’ Bartolomei a Susa è un ottimo esempio di architettura gotica.

Sita nella via omonima, fu casa natale di Arrigo De’ Bartolomei, uno dei più importanti giureconsulti medievali, citato da Dante nel XII canto del Paradiso. Attualmente versa in cattive condizioni.

Il Borgo dei Nobili (XIII sec. d.C.)

All’esterno dalle antiche mura troviamo il Borgo dei Nobili, in passato abitato soprattutto dalla nobiltà giunta a Susa al seguito dei Savoia. Sulle facciate delle case sono ancora visibili elementi romanici e gotici.

Torre dei Rotari (XIV sec d.C.)

In Piazza Bartolomei, dietro Casa de’ Bartolomei si può ammirare la Torre dei Rotari, innalzata a scopo di difesa e vedetta dalla famiglia Rotari oriunda di Asti.

Edificio a pianta quadrata in muratura, sicuramente in origine imponente, delle strutture medioevali conserva alcune monofore e archetti pensili sotto la merlatura molto deteriorata.

Tempio del Foro (I sec a.C. - I sec d.C.)

Nel 2005, durante alcuni lavori di ripavimentazione di Piazza Savoia, venne scoperto casualmente un antico tempio corinzio tetrastilo pseudo periptero su alto podio (3,30 m circa di basamento) di slanciate proporzioni: si ipotizza un altezza al colmo di circa 16 m.

Al di sopra del podio si ergeva il pronao che dava accesso alla cella. Dalla terrazza del tempio una scalinata scendeva al livello della piazza inferiore.

L’edificazione risale all’Età Augustea, nel quadro del processo di monumentalizzazione della città a seguito dell’accordo tra il re Cozio e Ottaviano.

Il materiale di costruzione, marmo, proviene dalle cave di Foresto, già sfruttate per il vicino arco dedicato all’imperatore Augusto.

La fronte principale è scandita da quattro colonne disposte accuratamente secondo i principi Vitruviani. Tutto l’edificio è realizzato con una straordinaria regolarità costruttiva e secondo precisi criteri di proporzionalità tra le parti: questo testimonia un progetto architettonico colto e accurato, forse predisposto altrove e qui realizzato.

Particolare attenzione era stata posta alla raccolta e allontanamento delle acque piovane, come dimostra l’intercapedine tra fondazione del criptoportico e terrazza, che probabilmente ospitava un canale e poteva essere quindi collegato a caditoie superiori per la raccolta delle precipitazioni.

La posizione e la qualità del progetto suggeriscono che si tratti dell’edificio sacro principale del Foro dell’antica Segusio.

Oggi rimangono ben leggibili il basamento, i muri di contenimento della scalinata d’ingresso, quelli che delimitano la cella e i possenti pilastri al piano inferiore del criptoportico, che probabilmente reggevano due lunghe volte a botte che correvano parallelamente al di sopra delle quali poggiava il colonnato della terrazza.

Altri resti rilevanti del portico erano già stati individuati nei saggi di scavo presso il tratto delle mura tardo-antiche pertinente al Seminario vescovile e alcuni elementi della decorazione architettonica sono tutt’ora osservabili nelle vicinanze.

Le rovine, ubicate in un parcheggio, sono in attesa di un progetto di valorizzazione.

Castello della Contessa Adelaide

Il Castello, fu edificato dai marchesi Arduinici su uno sperone di roccia, da cui domina la città, a fianco dell’Arco di Augusto, sulle le rovine dell’antico Praetorium (il palazzo del governo di Cozio I) e si presume risalente Medioevo: ciò spiega la presenza delle bifore, tipiche di quell’epoca.

Il castello fu la dimora dove crebbe e visse la marchesa Adelaide (1020-91), antenata degli attuali esponenti di Casa Savoia e personaggio emblematico della Valsusa, fondamentale nel determinare le sorti di un vasto territorio e il destino di un casato.

Le origini di Adelaide sono avvolte nella leggenda, ma si sa con certezza che fu pronipote di Arduino il Glabrione, che nel 976 liberò la Valle dai Saraceni e figlia di Olderico Manfredi II (il primo che abitò stabilmente nel castello) e di Berta d’Este.

Donna di cui non si conosce neppure il volto, e della quale mai è stata rinvenuta la tomba, si sa però che seppe destreggiarsi, da sola, tra papi ed imperatori dell’anno mille.

Nota per essere colei che permise ai Savoia di espandersi al di qua delle Alpi, quando, nel 1046, accolse al castello il suo sposo Oddone di Savoia. Con queste nozze la Dinastia Sabauda riceve in dote il Marchesato di Susa, il Passo del Moncenisio, la Contea di Torino, la Valle d’Aosta, molti territori e castelli liguri.

Nel 1077 suo genero Enrico IV si reca in Italia per ottenere la revoca della scomunica papale. Per amore della figlia Berta lo accompagna dal pontefice a Canossa, dove riesce a fargli ottenere il perdono da Papa Gregorio VII.

Da questo evento nasce il modo di dire “andare a Canossa”, che significa aver subito una tremenda umiliazione.

Una volta rimasta vedova esercita con abilità il potere prima in reggenza dei figli e poi, alla morte di questi, del nipote Umberto II.

Governa con il pugno di ferro, per difendere le sue prerogative di signora medievale contro le aspirazioni di Comuni e Vescovi. Ma fu anche una generosa mecenate e fece numerose donazioni a chiese e conventi, spesso strategici per il controllo delle sue valli e, dunque, per il vero potere che in quei secoli avevano i Savoia: il passaggio dei valichi alpini.

Il castello di Susa controllava infatti gli accessi alla Val di Susa, i passaggi per la Val-Cenis e per la valle della Clarée attraverso il passo del Montgenèvre.

Per la sua generosità il popolo la amava e la chiamava la “marchesa delle Alpi Cozie”.

Si spense ormai anziana, il 19 dicembre del 1091 e fu sepolta - si pensa - nella parrocchiale di Canischio, in valle Orco, poco sopra Cuorgnè, dove era andata a vivere.

Alla morte di Adelaide l’edificio passa ai suoi discendenti.

Tra il 1213 e il 1214 il Castello della contessa Adelaide di Susa ospita San Francesco d’Assisi, in viaggio verso la Francia.

Dopo la pace di Chateau Cambresis - che nel 1559 ha posto fine alle Guerre d’Italia - e il ritorno della valle di Susa ai Savoia, il Castello ha ospitato l’incontro che ha suggellato la pace.

Ma questa pace non dura molto e il castello continua nel corso del XVI e del XVII secolo ad ospitare trattative di pace: il Seicento è caratterizzato dalle guerre con la Francia e il Castello diviene nuovamente luogo per le trattative.

Nel 1629 vi soggiornano a lungo due ospiti illustri: re Luigi XIII di Francia e il cardinale Richelieu. Nel 1750 in occasione delle nozze tra il futuro Vittorio Amedeo III e Maria Antonia di Spagna, viene ristrutturato e assume l’aspetto attuale.

Caduto progressivamente in abbandono, nel 1806, viene espropriato ai Savoia con un decreto napoleonico e donato al comune, che viene obbligato ad aprire al suo interno delle scuole. Dopo il 1814 diventa sede del supremo comando militare e politico della città e della Valle.

Dagli anni ’80 è stato oggetto di interventi di restauro, ancora in corso. Nel 2017 è stato riaperto il piano terreno.

Dell’antico palazzo del governatore, di dimensioni 75x42 m circa, rimangono le fondazioni, un atrio di ingresso, alcune tessere di un pavimento a mosaico e delle volte degli ambienti sotterranei. Del castello medievale le bifore e le caditoie sulle pareti che si affacciano sul centro storico.

Oggi gli edifici hanno l’aspetto di un complesso a “L”, con una manica est più corta e prospettante sulla città vecchia e una manica nord più lunga e tendente verso l’Arco di Augusto.

La manica est viene datata al X-XI secolo, l’epoca adelaidina. Conserva alcune emergenze architettoniche medievali, come la pustierla marmorea di accesso dalla città e una bella bifora bicolore tamponata. All’interno si conservano altre antiche bifore.

Ha invece oggi un aspetto settecentesco la manica nord. Nella parte in alzato la struttura è risalente al XIII secolo circa, ma è stata privata dello scalone di accesso e della loggia prospettante il cortile. La grande sala di rappresentanza al primo piano è stata rivista tamponando tre grandi trifore polilobate.

Nella parte ovest è ancora esistente una porta carraia di accesso nel muro su cui aggettano torri in parte abbattute. Un tempo fortificavano l’area di accesso al castello, utilizzando anche l’Arco romano.

Rimane ancora da indagare dal punto di vista archeologico l’area a sud-est, che un tempo doveva essere occupata dalla chiesa di S. Maria al Castello.

Dopo 150 anni di uso scolastico e 15 anni di restauri, il Castello è oggi sede del Museo Civico, della Biblioteca e dell’Archivio Storico. Qui il visitatore può ammirare i tesori archeologici rinvenuti sul territorio e scoprire la storia del castello e della città di susa attraverso un percorso ad immagini.

Museo civico (archeologico) e Centro di interpretazione del territorio

Il Museo civico è di proprietà della Città di Susa e raccoglie i reperti collezionati fin dall’Ottocento sul ricco territorio di transito alpino della Valle di Susa.

Suddiviso in nove sale complessive che contengono:

  • raccolta naturalistica del Club alpino italiano
  • reperti archeologici di epoca romana
  • collezione di numismatica;
  • cimeli risorgimentali e una raccolta di armi dal Medioevo al XIX secolo
  • un pregevole capitello del XIV sec
  • minerali e fossili
  • collezione egizia e donazioni di oggetti esotici;

Le due sale del piano terra, aperte negli anni Novanta in collaborazione con il Gruppo Ricerche Cultura Montana, sono dedicate alle incisioni rupestri della valle.

Chiesa Santa Maria delle Grazie (XVIII sec)

Piccola chiesa barocca realizzata per opera dell’architetto segusino Carlo Andrea Rana (famoso soprattutto per i suoi trattati sulle fortificazioni.) su rovine del XIV sec. Dello stesso architetto era il disegno degli arredi sacri, che furono però in parte rubati nel 1963.

Venne utilizzata fino al 1847 per ospitare le salme dei Vescovi segusini e dal 1967 è un Sacrario militare.

È un edificio semplice a navata unica rettangolare. In età moderna la facciata, a intonaco, è stata abbellita ma l’edificio nel complesso ha conservato un aspetto assai semplice.

Convento di San Francesco (metà XIII sec.)

Il complesso conventuale di San Francesco, adagiato nel dolce declivio che sovrasta a sud la città di Susa, e che vede la chiesa affiancata a sud da due chiostri successivi siti ad altezza differente, è un luogo ricco di arte e di storia.

Unico nel suo genere per essere situato in una località posta all’interno dell’arco alpino e non a ridosso del medesimo (come era avvenuto per altre fondazioni dell’area), fin dalle origini acquistò un importante ruolo non solo a Susa ma in tutta la media e bassa valle e numerosi esponenti di famiglie nobili locali chiesero e ottennero di poter essere sepolti alla loro morte nella chiesa conventuale.

Gli edifici vennero costruiti con materiali di recupero del vicino anfiteatro romano, in forme gotiche con influssi romanici.

Le origini del Convento - citato in una Bolla pontificia del 1254 - risalgono alla metà del Duecento. La leggenda attribuisce la fondazione allo stesso Francesco che, transitato per Susa nel 1214, avrebbe donato una manica della propria tonaca a Beatrice di Savoia in cambio di un terreno dove edificare il convento per i propri frati. La reliquia della manica di San Francesco è conservata presso la chiesa dei Frati Minori Cappuccini di Annecy.

Il convento fu abitato dai Frati Minori Conventuali fino alla loro soppressione durante l’occupazione napoleonica. Dal 1802 - periodo di maggior degrado - fu adibito a deposito di salnitro e ricovero per le truppe e successivamente, fino all’ultimo quarto del XIX secolo, destinato a usi civili.

Richiamati dal vescovo di Susa Edoardo Giuseppe Rosaz nel 1889, i frati francescani sono rimasti nella casa segusina fino al 5 ottobre 2008, quando hanno lasciato definitivamente il convento, che ora svolge funzione di foresteria per gruppi e singoli pellegrini che ripercorrono la Via Francigena del Moncenisio.

Sia la chiesa che l’ex convento presentano numerose testimonianze ad affresco.

La chiesa (la vecchia sacrestia)

La chiesa – antica sacrestia del convento di San Francesco di Susa - di cui alcuni studiosi ipotizzano una fondazione su preesistenze romane, è orientata a levante, con abside eptagonale a oriente conservata secondo l’impianto originale, impianto basilicale, navata centrale larga il doppio delle navate laterali, scandita da possenti pilastri con capitelli.

Presenta una facciata una semplice facciata a salienti (ossia con il profilo che segna l’altezza delle navate interne) e tripartita da lesene , atipica in Piemonte, dove si predilige la facciata liscia e a capanna, e di probabile ascendenza francese.

La ghimberga (il frontone a forma triangolare che ingloba il portale) racchiude il portale in arenaria. I possenti pilastri del portale presentano sui capitelli delicate decorazioni geometriche, fitomorfi e zoomorfe.

Il pavimento attuale è circa un metro al di sotto del piano stradale esterno, che si ritiene essersi inalzato per le frequenti alluvioni del Rio Gelassa, che sul lato posteriore del complesso aveva accumulato fino a quattro metri di detriti.

L’interno presenta una pianta a tre navate con transetto, ora chiuso per ricavarne due cappelle (quella di destra è adibita ad attuale sacrestia). La parte dell’abside, eretta probabilmente in un secondo tempo, tra la fine del Duecento e i primi anni del Trecento - poligonale a sette lati, secondo uno schema del gotico del sud della Francia piuttosto raro nell’Italia del ‘200. - è quella meglio conservata secondo l’architettura originale.

I capitelli scolpiti delle colonne della navata centrale sono databili tra gli anni trenta e cinquanta del Duecento. La collocazione temporale non è agevole poiché sono stati ridipinti e dorati durante i restauri ottocenteschi.

I capitelli della seconda e della terza colonna a destra, della prima e della terza colonna a sinistra e delle semicolonne addossate ai lati dell’abside presentano motivi vegetali variegati. Il capitello alla sommità della seconda colonna di sinistra presenta invece quattro scene di lotta tra coppie di animali: due uccelli che si affrontano; un uccello e un drago; una scena di caccia con una lepre inseguita da un felino; due chimere.

La chiesa venne rimaneggiata nel ‘600 con la costruzione di volte. La decorazione interna risale ai restauri degli anni 1880-87 eseguiti da Arborio Mella. Dello stesso periodo sono gli arredi, tipici del gusto neogotico di fine ‘800. Si sono conservati due bellissimi chiostri e, in varie parti dell’edificio, affreschi del XIV – XV secolo.

Al di sotto del transetto sinistro è stata rinvenuta una cripta con notevoli resti ossei.

Gli affreschi

All’altezza del transetto presenta pregevoli affreschi.

Nel transetto sinistro, in un contesto che ha patito i segni del tempo e delle vicende, solo recentemente riscoperto e restaurato, dedicato al tema della morte e della salvezza, vi sono La crocefissione, Il Giudizio Universale, la cavalcata dei tre vivi e dei tre morti.

Databile tra inizio e metà del XIV secolo come quello della cappella del Conte di San Giorio. Sono poi visibili frammenti di una Madonna, Cristo e santi nel sottarco e gli Evangelisti sulla volta.

Nel transetto destro si ammirano gli Evangelisti seduti su elaborati seggi intenti a scrivere il Vangelo, del quale appare su un cartiglio un versetto. Accanto a ciascuno i loro simboli: l’aquila per Giovanni, il vitello alato per Luca, il leone con viso di uomo per Marco, l’angelo per Matteo. Vi sono anche i SS. Pietro e Paolo che portano i rispettivi simboli: le chiavi san Pietro e il libro per san Paolo.

Sulla parete a sinistra della porta d’ingresso dell’attuale sacrestia in centro vediamo a destra la Maddalena ed a sinistra Maria; un pò spostato a sinistra è San Bernardo.

Durante recenti restauri sono venuti alla luce ulteriori affreschi della metà del 1300: santa Chiara e san Francesco che riceve le stimmate sul monte della Verna.

Gli affreschi trecenteschi appartengono ad un pittore ignoto che rivela numerose affinità con l’arte transalpina coeva. I dipinti della prima metà del Quattrocento sono di un maestro che si esprime con una parlata popolare. Il S. Bernardo appartiene ad un artista più modesto. Il ciclo pittorico della seconda metà del Quattrocento è attribuibile alla bottega dei Serra di Pinerolo, attivi in valle anche a Giaglione, Sauze d’Oulx e San Giusto di Susa, che in questi soggetti si mostra assai debitrice verso la cultura jaqueriana e quella franco-fiamminga (in particolare verso gli Evangelisti di Briançon).

La facciata presenta un portale fortemente strombato e una ghimberga che lo ingloba.

Affreschi lacunosi compaiono infine sul fianco nord della Chiesa.

I chiostri

Il complesso conventuale è arricchito dalla presenza di due splendidi chiostri di epoca diversa collocati sul lato sud, a differenti quote del terreno, che mostrano profondi rimaneggiamenti di epoche successive.

Il primo che si incontra accedendo dalla chiesa, detto di San Francesco, a cui si affaccia la sala capitolare, è impreziosito dalla presenza di tre epigrafi del Duecento, tre epigrafi del Trecento, un monumento funebre composto da due lapidi in marmo, un Cristo Crocifisso in legno scolpito della fine del XV secolo e infine due finestre murate in cotto risalenti al quattrocento, in stile gotico piemontese, composte da due colonnine cordonate inframmezzate da una fascia a motivi vegetali con aggraziate teste femminili, facenti parte di un fabbricato annesso al convento, tradizionalmente denominato “torre di Beatrice”.

Sul lato del chiostro contiguo alla chiesa è possibile ammirare un bell’affresco quattrocentesco recentemente restaurato raffigurante Sant’Anna con la Vergine, il Bambino e una figura maschile (forse un donatore) attribuito al Maestro di Cercenasco.

Dal primo chiostro si accede al secondo detto di Sant’Antonio, più antico, ristretto e sovrastato da un suggestivo loggiato aperto detto di loggia di frate Elia, in cui compaiono lunette affrescate rappresentanti la vita di sant’Antonio.

La sala capitolare

Durante i restauri degli anni Duemila, nella sala del capitolo situata immediatamente a sud del transetto destro, sono stati ritrovati al di sotto di una cornice altri affreschi risalenti agli anni quaranta del Trecento.

Qui troviamo, nella parte superiore delle pareti, In una bianca cornice quadrilobata inscritta in un cerchio una fascia affrescata con 8 medaglioni quadrilobi in cui sono inscritte figure di santi (San Francesco che riceve le stigmate, Santa Chiara, San Ludovico di Tolosa, sant’Antonio di Padova) e beati francescani (beato Leo con la mitra vescovile, beato Ottone, beato Duns Scoto, beato Nicolò, Accursio e ed infine due figure il cui nome è cancellato) databili tra la metà e la fine del Trecento.

Al centro di entrambi i chiostri campeggia un pozzo. Il convento, infine, è circondato da un vasto e curato parco.

La struttura è sempre aperta, ma per per visite guidate alla chiesa e al chiostro è necessaria la prenotazione.

Chiesa di San Saturnino (XI Sec. Circa)

Fuori città, in un terreno privato delle campagne di Susa , sul luogo in cui secondo la tradizione San Saturnino fu martirizzato, fu eretta la Chiesa di San Saturnino.

Non se ne conosce l’anno di fondazione ma si sa che anticamente esisteva già una cappella dedicata al santo, e che in seguito fu costruita - forse sulle rovine di un tempio pagano - la chiesa attuale.

Dal ritrovamento in loco di reperti romani si ipotizza infatti che prima della chiesa vi sorgesse un tempio pagano dedicato alle Dee Matrone.

La prima notizia della Chiesa di San Saturnino risale al diploma del Vescovo di Torino, Cuniberto (1065), col quale essa venne donata - insieme a S. Maria Maggiore di Susa - alla Prevostura di Oulx. Da ciò, e dai caratteri dell’edificio, si può presumere che sia stata edificata verso la metà del sec. XI.

Una notabile minor raffinatezza rispetto rispetto alle altre costruzioni coeve è dovuta al carattere rurale dell’ambiente cui era destinato. Pare infatti fosse di poca importanza ed officiata solo saltuariamente.

Nel 1231 un certo Rodolfo Baralis (o Barralis) di Susa lasciò per testamento i terreni che possedeva in regione S. Saturnino alla Congregazione dei Canonici di Oulx, affinché erigesse nella chiesa di S. Saturnino, dipendente dalla Congregazione stessa, un Priorato di almeno tre canonici, con l’obbligo di risiedervi e di officiarla.

Il testamento del 1231 fu l’occasione che da semplice chiesa diventasse monastero. Lo stesso testatore aveva disposto che vi si introducessero delle migliorie:

precepit heredibus suis [ut res] ab eo legatas… accipiant… ad res legatas meliorandas.

Il Priorato fu sicuramente costituito, infatti ne parlano ripetutamente le carte posteriori e lo conferma l’aspetto delle costruzioni tuttora collegate con la Chiesa; tuttavia non pare che abbia mai raggiunto una grande prosperità né una particolare importanza, tanto che nel 1607 la famiglia “patrona” dei Baralis si lagnava per la sua scarsa efficienza.

Soppressa nel 1748 la Prevostura di Oulx – da cui dipendevano i Canonici di S. Maria e di S. Saturnino – anche il Priorato come tale venne soppresso, e di conseguenza gli edifici, quasi abbandonati, e specialmente la Chiesa, decaddero ulteriormente.

La proprietà del complesso passò alla nuova Collegiata di Canonici eretta nel 1748 in S. Giusto di Susa mediante l’unione dei precedenti Canonici Lateranensi con quelli di S. Maria Maggiore, e, quando nel 1772 venne fondata la Diocesi, passò ai Canonici del Capitolo della Cattedrale.

Il campanile romanico è a pianta quadrata, esile ed elegante, presenta negli ultimi tre piani eleganti bifore che si ingrandiscono gradualmente nei vari piani. Lesene e cornici marcapiano con archetti pensili dividono i piani della costruzione, ben conservata all’esterno.

L’interno - già in decadenza all’inizio del XVIII secolo e successivamente abbandonata - è invece in rovina.

Negli anni ’80 sono stati compiuti lavori di restauro sul campanile e nel 2001 sugli interni, in particolare il pavimento e il tetto.

In un’intervista il vescovo di Susa Alfonso Badini Confalonieri ha illustrato i progetti futuri, che includono il restauro del priorato e la nuova destinazione del complesso ad uso religioso; una comunità di monache benedettine potrebbe trasferirsi a San Saturnino e coltivare i suoi terreni. In questo modo la comunità benedettina di Novalesa si completerebbe idealmente con la presenza a Susa dell’ordine femminile.

Pieve battesimale di Santa Maria Maggiore

L’antica pieve battesimale di Santa Maria Maggiore di Susa è stato un canonicato agostiniano, più antica e importante chiesa battesimale di Susa e della Valle (precedente alla Cattedrale di San Giusto) e importante centro di coordinamento per la religione cattolica in valle di Susa durante il Medioevo, da cui dipendevano numerose chiese parrocchiali della bassa valle di Susa, poi confluito sotto la giurisdizione ecclesiale della prevostura di San Lorenzo di Oulx.

Tra storia e leggenda

Fu dedicata fin dalle origini alla Vergine, e l’epiteto maggiore ne indica l’antichità e l’importanza nella gerarchia religiosa della città.

Secondo la leggenda, risale al I secolo dell’era cristiana, allorché un gruppo di fedeli convertiti da San Paolo e da San Pietro, per sfuggire ad una persecuzione, si diressero verso nord, giungendo fino ai piedi delle nostre Alpi. L’allora prefetto di Susa, già convertito al cristianesimo, accolse e protesse i fuggiaschi e fondò per loro questa chiesetta.

Secondo un’altra credenza la costruzione fu precedentemente un tempio dedicato a Nettuno, perché sul campanile si vede un ferro a forma di bidente (da qui il nome popolare di campanile della forchetta); quel ferro, ritenuto in origine un tridente, fu creduto il simbolo del dio del mare.

Gli studiosi hanno però smentito questa teoria, tralasciando però anche il fatto che nei sotterranei furono rinvenute delle statuette di creta rappresentanti idoli.

Prima della fondazione della diocesi di Susa, dopo alterne e complicate vicende religiose e politiche venne definitivamente chiusa, sconsacrata e i suoi arredi trasferiti presso l’abbazia di San Giusto e infine divenne sede di 6 civili abitazioni, depositi e magazzini in parte di proprietà comunale, e ha alcune parti in stato di rovina.

Solo di recente è stata sottoposta a lavori di restauro molto significativi, che permettono ora di apprezzarne tutta la bellezza.

Intorno al mille, un documento cita con precisione Santa Maria Maggiore, edifìcio ricostruito dopo le distruzioni dei saraceni, e ne sottolinea l’importanza indicandone la giurisdizione spirituale su quasi quaranta parrocchie della valle, e le dipendenze da essa del Battistero che serviva tutta la zona.

Ma oltre che da fonti documentali, il suo ruolo preminente nel panorama ecclesiale valsusino è desumibile anche dal rapporto tra navata maggiore e laterali (1,2:1), lontano dai moduli abituali della prima architettura romanica e indice di arcaicità.

Architettura

La struttura architettonica antica resta leggibile nelle sue parti principali. Sono ancora visibili gli archetti romanici decorativi sul lato sud e la facciata antica rivolta verso il parco di Augusto. Rimane un bel portale marmoreo sul lato nord, ora in un cortile privato.

parco di Augusto
parco di Augusto

Divisa in tre navate, senza transetto, aveva - come tutte le chiese romaniche - l’abside rivolta a est fino al periodo barocco, quando venne invece capovolto l’orientamento, collocando la facciata al posto della primitiva abside e in coerenza con l’attuale via Martiri della Libertà. Una pianta del complesso canonicale si trova in un contributo di Luca Patria, disponibile on line.

L’antica facciata, a capanna, è illuminata da una finestra a croce, da un rosone e da una piccola monofora. Non c’è traccia di porta d’entrata, poiché l’ingresso era laterale, in pietra.

È sormontata da una cuspide piramidale coperta da lose di pietra, che si conclude con il bidente, probabilmente in realtà una croce deformata dal tempo.

Al piano terreno si trova una stanzetta ricavata nello spessore delle mura (oltre 4 mt.) come ingresso interno alla chiesa; dal primo piano, che è parte del percorso di un cammino di ronda, si può accedere alla cella campanaria, dalla quale si può riconoscere, affacciandosi alle trifore, tutto il complesso monastico: chiesa, campanile, chiostro e corti interne.

Il campanile ha base quasi quadrata, è alto circa 40 metri e si appoggia alle mura urbane. Fregi in mattoni e archetti ciechi ne sottolineano i piani che sono illuminati da monofore, poi bifore e trifore e cella campanaria.

Il chiostro e la casa dei Canonici

Il complesso doveva essere composto oltre che dalla chiesa da altri edifici.

Tra essi, a sud il chiostro, oggi scomparso e trasformato in piazza; a nord, con attuale accesso da piazza San Giusto, la cosiddetta casa dei Canonici, probabile palazzo di rappresentanza del complesso che nel tardo medioevo era emanazione della prevostura di San Lorenzo di Oulx.

Della casa dei Canonici, crollata negli anni novanta e dal quale è stato salvato un importante affresco medioevale civile raffigurante i mesi dell’anno (conservato nel locale Museo diocesano d’arte sacra), rimangono alcune deteriorate arcate gotiche del porticato.

La domus helemosinaria

Dall’altra parte dell’attuale via Martiri della Libertà rispetto alla chiesa, doveva sorgere una domus helemosinaria, casa di ospitalità per i pellegrini della Via Francigena del Moncenisio, poi abbattuta nel XVIII secolo per costruire il palazzo della Provincia di Susa.

Arredi sacri

Si ritiene che alcuni arredi sacri della pieve di Santa Maria Maggiore siano oggi presenti presso altri edifici religiosi, come l’altare medioevale in marmo di Pietro da Lione attualmente conservato nelle sacrestie della cattedrale di San Giusto e il grande fonte battesimale scolpito, voluto dal prevosto Pietro II della prevostura di San Lorenzo di Oulx, nell’attuale battistero di San Giusto (ex cappella delle reliquie dell’abbazia).

È invece andata perduta un’antica fontana trasferita secoli or sono a Giaveno, della cui iscrizione è rimasto un disegno conservato nella Biblioteca apostolica vaticana.

Chiesa di Sant’Evasio

La chiesa, seconda parrocchia della città, è dedicata al vescovo e martire S. Evasio.

In passato da considerarsi la “chiesa di campagna”, la “chiesa fuori le mura” vista la sua posizione rispetto al centro storico di Susa, dove presumibilmente andavano a Messa i contadini delle terre limitrofe.

Non sono molte le notizie storiche a riguardo. Quel che è certo sono le sue origini antichissime, in quanto elencata tra le chiese esistenti nella città di Susa – come la Chiesa di San Saturnino - nel diploma del Vescovo Cunimberto (1065).

Di fianco alla chiesa sorgevano il convento e la chiesa dei Cappuccini, eretto nel 1614 dedicato ai Santi Rocco e Sebastiano e del quale ora è rimasto il solo portale.

La chiesa si compone di un’unica navata, di un altare maggiore e due altari minori, rispettivamente con il Sacro Cuore di Gesù e la Madonna di Lourdes. Nella volta del presbiterio v’è un antico dipinto di S. Evasio.

In controfacciata è presente una cantoria lignea e nell’area absidale un retable Settecentesco sull’antico altare maggiore. Un grande campanile a base quadra, coperto da cuspide piramidale, si addossa alla facciata, situata nel centro abitato, addossata ad altro edificio che ne ha compromesso lo sviluppo dell’aula che infatti appare di dimensioni molto ridotte rispetto al presbiterio, concluso da un’abside piatta, e che ne ha forzato la posizione sulla fiancata meridionale dell’ingresso, laterale in fondo alla chiesa.

Nella seconda metà del sec. XVIII è stata trasformata: tra le evidenti modifiche vi è la riduzione di circa 15 metri della lunghezza della struttura che, come oggi si può notare, risulta sproporzionata rispetto ad altezza e larghezza. Del motivo di questa modifica non si hanno fonti certe, ma si pensa che ciò sia avvenuto per ragioni politiche.

Restauri più completi sono stati eseguiti nel 1950 e negli anni ‘90. Il rosone absidale è stato recentemente sostituito con uno raffigurante il Santo Vescovo e Martire, realizzato nel dicembre 2009.

Chiesa della Madonna del ponte (XIII -XIV sec.)

Su una sponda del fiume Dora, nel cuore dell’abitato di susa, sorge l’antica chiesa medievale della Madonna del Ponte, dedicata alla Madonna della Pace.

La chiesa presenta, all’interno, pregevoli opere d’arte. Dal 2000 il complesso è sede del Museo diocesano d’arte sacra che conserva il Tesoro della Cattedrale di San Giusto e le opere d’arte più preziose della Diocesi di Susa.

Storia

Edificata tra il 1266, data dell’ultimo elenco di chiese della Valle in cui essa non compare, e il 1369, anno in cui viene redatto un documento in presenza del rettore di Sanctae Mariae de Ponte, si ritiene in origine come semplice pilastro, poi inglobato in una chiesa di modeste dimensioni.

Nel 1595 all’interno della chiesa sorge la confraternita dello Spirito Santo che favorisce una rinascita della chiesa stessa. In questi anni l’edificio liturgico viene radicalmente rinnovato e abbellito.

Usanze e leggende

Un tempo oggetto di devozioni particolari, oltre che meta di pellegrinaggi e processioni officiate dal clero, vi si svolgevano veri e propri rituali, che comprendevano ad esempio la deposizione di bimbi nati morti e la circoambulazione all’interno della cappella degli epilettici.

Si credeva infatti che in quel luogo la Madonna li avrebbe resuscitati per un istante, giusto il tempo di battezzarli per salvarli dalla condanna del limbo. Bastava la parvenza di un respiro sul volto del corpicino esanime per le disperate mamme che potevano così battezzare e seppellire i loro piccoli in terra consacrata.

I santuari detti a repit o del ritorno alla vita o ancora della doppia morte erano piuttosto diffusi sia sul versante italiano che francese delle Alpi, ma le autorità ecclesiastiche cercarono di dissuadere, non sempre con successo, questa pratica che vide la sua massima diffusione nel Seicento.

Non erano solo le sfortunate madri a chiedere grazie alla Madonna del Ponte, a lei si rivolgevano anche gli epilettici che la sera e senza mai sedersi camminavano incessantemente sorretti da due persone: si credeva che riuscivano a superare la notte senza cadere avrebbero passato un anno intero senza essere colpiti dal male da cui erano affetti.

Le autorità religiose locali non vedevano di buon occhio queste pratiche legate alla credenza popolare e per dissuaderle, negli anni che seguirono venne istituita la Confraternita dello Spirito Santo a cui la chiesa venne affidata.

Statua della Madonna del Ponte

La titolazione della chiesa - Madonna - deriva da una preziosa statua in legno di tiglio della Madonna con il Bambino assai pregevole, opera di uno scultore ignoto, risalente probabilmente al XII secolo e rimaneggiata attorno al XVI secolo.

L’opera si direbbe, su base stilistica, di provenienza dalla Francia meridionale o dall’area alverniate.

La statua, in legno policromo, è abbellita da lamine argentee ribattute e pietre colorate. Già nel secolo XVI era completamente annerita dal fumo delle candele.

Anticamente doveva essere collocata in una nicchia intus parietem, oggi è visibile nel Museo Diocesano

La seconda parte del nome - del Ponte - fa invece riferimento all’ubicazione del santuario, vicino a un ponte sulla Dora che divide in due la città.

Un altro elemento di notevole pregio presente nel santuario è un affresco raffigurante l’Annunciazione di fine Trecento e lungo la parete nord un altro affresco con crocifissione con data affrescata (1555).

Per quanto non vi sia nessun documento ufficiale a comprovare ufficialmente tale dedicazione, a partire dalla fine del XVI secolo il santuario è conosciuto anche coma Madonna della Pace, probabilmente in memoria del trattato di pace di Vervins firmato tra Francia nel 1598 tra Spagna e Savoia.

Architettura

Poiché il muro di sinistra della navata principale poggia su delle robuste costruzioni fatte a spina di pesce, si pensa che l’edificio sia sorto sulle rovine più antiche, la cui epoca di costruzione è impossibile determinare.

Già alla fine del 1500 ha l’ingresso, quello attuale, dove prima c’era l’altare.

Sulla facciata presenta due nicchie, in cui sono state recentemente poste le statue di San Giusto (alla sinistra di chi guarda) e di Sant’Evasio ( a destra) cui sono dedicate le due Parrocchie di Susa.

Ha una facciata a capanna con timpano molto lineare, abbellita da due finestroni lobati e da un affresco raffigurante la “Regina Pacis” che rappresenta la Vergine con in mano un ramo d’ulivo e il Bambino che sembra averne affidato uno più piccolo ad una colomba in volo. Sullo sfondo si intuisce la sagoma del Rocciamelone innevato e del campanile della Cattedrale di San Giusto.

Il campanile a cinque piani si conclude con una torre campanaria balaustrata e con una bella cupola a cipolla.

L’interno, ad una sola navata, si chiude con un bell’altare in legno sormontato da una cupola ellittica in parte decorata con stucchi e in parte dipinta secondo il gusto barocco con effetto trompe l’oeil.

A seguito del recupero mediante strappo di un affresco raffigurante una Crocifissione sono comparsi sulla parete esterna della chiesa, lato nord, dei frammenti di una pittura macabra identificata con un Incontro dei tre vivi e dei tre morti; l’immagine è tradizionalmente collegata ad una delle devozioni mariane alla Madonna del Ponte, invocata per la guarigione dall’epilessia.

Nel corso dei secoli la chiesa ha subito numerose modifiche e ristrutturazioni, e del XIX secolo è la creazione della cappella della Madonna Addolorata, posta più in basso rispetto alla navata centrale. Il tutto è stato restaurato proprio negli ultimi anni.

I lavori per l’adeguamento come sede museale sono stati anche occasione indotta per ricercare diverse fasi costruttive dell’edificio e riportare alla luce significative porzioni di epoche diverse.

Tra i ritrovamenti risultano di particolare interesse:

  • un tratto di strada antica interrata, oggi lasciata in vista da un percorso in vetro strutturale appositamente realizzato e caratterizzante le sale di accoglienza e l’ingresso al Museo;
  • alcune cesure costruttive sul paramento murale sud della Chiesa, che documentano l’avvicendarsi di successivi ampliamenti;
  • i segni dell’antica abside al livello fondale (che orientava la Chiesa medesima ad est).
Il museo

Il Museo si estende complessivamente su di una superficie di circa 900 mq articolata in sei sale oltre ad una serie di locali per formazione e informazione multimediale. Queste sale sono state destinate ad ospitare il tesoro della Cattedrale di San Giusto, il Coro con i reliquiari e la quadreria, la Sagrestia con i paramenti liturgici e i tessuti.

Al primo piano la sala delle oreficerie e la sala delle statue lignee oltre a locali amministrativi, spazi di relazione e comunicazione e servizi vari.

Tra i reperti conservati nel Museo di notevole importanza vi è il Trittico del Rocciamelone (o di Rotario), risalente al XIV secolo, in bronzo anticamente dorato, inciso con il bulino.

Il Trittico è composto da tre parti terminanti a cuspide, unite da quattro cerniere; a quella centrale, più grande, sono collegate due più piccole a forma di trapezio richiudibili per permetterne il trasporto.

Sulla tavola centrale è rappresentata la Madonna seduta su un trono a cassapanca con in braccio il piccolo Gesù che, con una mano regge il mondo e con l’altra accarezza il mento della madre. Sull’anta sinistra vi è san Giorgio a cavallo che trafigge il drago con la lancia; sull’anta di destra, invece, campeggia un santo con la barba, identificabile con san Giovanni Battista (patrono dei Cavalieri di Malta), le cui mani sono posate sulle spalle di un guerriero inginocchiato che rappresenta il committente del trittico, Bonifacio Rotario.

Tutte le figure sono sovrastate da esili arcate gotiche e sono racchiuse entro motivi ornamentali che occupano l’intero sfondo.

Nella parte inferiore del trittico è incisa una scritta latina in caratteri gotici che ne permette la datazione: “Qui mi ha portato Bonifacio Rotario, cittadino di Asti, in onore del Signore Nostro Gesù Cristo e della Beata Maria Vergine, nell’anno del Signore 1358, il giorno 1° di settembre”.

Il trittico, ambìto dal duca Carlo Emanuele II, nel 1673 venne trafugato da Giacomo Gagnor di Novaretto e portato al castello di Rivoli, dove i reali trascorrevano il periodo estivo: esposto nella chiesa dei Padri Cappuccini, fu onorato con un solenne pellegrinaggio da Rivoli a Susa cui partecipò un’enorme folla di fedeli.

La sua ultima collocazione fu la cattedrale di San Giusto di Susa e da qui trasferito poi nella sede del Museo Diocesano.

Sul Rocciamelone la antica cappella scavata nella roccia da Bonifacio Rotario, ormai inservibile, nel Settecento venne sostituita con una in legno; anche questa però, in balia degli agenti atmosferici.

Madonna Della Losa Abbazia

La regione subalpina è il teatro della prima irradiazione certosina in Italia: Pesio, nel comune di Chiusa Pesio nel 1172, Casotto, nel comune di Garessio nel 1173 e poi, nel 1189 Santa Maria alla Losa, sulle alture che dominano Gravere, in Valle di Susa.

La storia della cappella, che si erge nel cuore della piccola borgata, su di una splendida balconata naturale da cui si domina tutta la conca di Susa lungo la carrozzabile che sale verso il Pian del Frais, è legata alla presenza certosina. In questa località, infatti, grazie ad una donazione del conte Tommaso di Savoia, si insediò nel 1189 una delle prime comunità monastiche certosine del Piemonte.

La borgata stessa conserva ancora in parte, in alcune abitazioni, tracce delle architetture tipiche delle certose medievali.

La cessione dei fertili pascoli della zona ai monaci fece sì che nascessero quasi subito dei contrasti con le popolazioni locali e la relativa vicinanza della località a Susa poco si adattava al bisogno di isolamento prescritto dalla regola monastica.

Secondo Natalino Bartolomasi, storico della valle, il toponimo Losa rimanda a caratteri megalitici: forse in quella località, in epoca assai remota, fu eretta un’imponente lastra di pietra per consacrare il sito al culto della divinità; è probabile che i Romani abbiano poi costruito un tempietto in seguito trasformato in luogo di culto cristiano.

Secondo la tradizione i benedettini della Novalesa fin dal IX secolo vi costruirono una Cappella dedicandola alla Madonna, chiamata da allora in poi “Madonna della Losa”, svolgendo vita monastica di lavoro e preghiera e vi dimorarono per quasi 156 anni, successivamente ai quali l’abbandonarono a causa dalle invasioni saracene.

Verso il 1000 la montagna della Losa e la Cappella vennero incamerate nei feudi della Marchesa Adelaide, che la donò alla cattedrale di San Giovanni Battista di Torino; poi, verso il 1189, un gruppo di certosini, fuggiti dalla Francia a causa delle persecuzioni religiose, si stabilì alla Losa e vi fondò il proprio convento.

I documenti attestano nel 1189 una donazione di Tommaso I di Savoia Moriana ad un gruppo di monaci della chiesa di Santa Maria in località Losa e nel 1191 un’altra donazione di Tommaso I specifica che i monaci sono certosini.

Trascorsi pochi anni dalla fondazione, in quel luogo lontano dalla città e apparentemente dotato di sufficiente tranquillità, iniziarono a manifestarsi alcune difficoltà: nel 1197 i certosini lamentarono infatti l’eccessiva irrequietezza dei laici, riferendosi probabilmente agli abitanti della città di Susa o a quelli delle borgate vicine alla Losa, i quali avrebbero disturbato i monaci dalle loro attività contemplative.

Fin dal 1196 sono infatti documentate liti con le comunità vicine: i Certosini, tramite acquisti e donazioni, vogliono creare attorno alla loro domus una fascia di desertum: qui nessuno non solo non può entrare ma neanche acquisire terre.

Interviene il Conte ad imporre un compromesso che riconosce i diritti di chi può dimostrare un’usucapione trentennale, ma cassa tutti gli altri possessi: possono al massimo recuperare i denari dati per caparra vietando nuove acquisizioni.

Non è sufficiente: a causa delle liti, delle frequenti irruzioni e dei saccheggi ai quali era esposto il luogo, i Certosini, dopo pochi anni, s’allontanarono dalla Losa (1202) e si trasferirono in Valle Orsiera, nella certosa di monte Monte Benedetto di Villar Focchiardo e poi a Banda.

La prima citazione della chiesa della Losa, intitolata a Beate Marie de Pietate risale al 1432, probabilmente dovuta alla presenza dell’ancona della Vergine addolorata.

Nel 1609 nacque la parrocchia di Gravere e la chiesa della Losa venne contesa tra graveresi e segusini.

Nel 1642 la Losa fu infeudata al conte Cauda di Caselette e al Marchese Ripa; nel 1665 i feudatari cedettero i diritti sulla Losa alla comunità di Gravere in cambio di un tributo annuo che fu pagato sino al 1833.

Nel 1690 gli abitanti di Gravere fecero voto di recarsi in processione alla Madonna della Losa il giorno di Sant’Anna (26 luglio) per essere liberati dalla guerra che annientava il paese, già provato da una grave epidemia. La tradizione è ancora viva oggi, seppur su un percorso ridotto.

Gli affreschi all’interno della chiesa risalgono al XIV secolo; furono restaurati negli anni 1970, ma l’edificio necessita di lavori per eliminare infiltrazioni, consolidare il campanile, ripulire gli affreschi.

Architettura

L´edificio si presenta con una configurazione planimetrica molto semplice a navata unica coperta da una volta a botte intonacata e parzialmente affrescata. Dell’originario monastero rimane solo la chiesa con il grazioso campanile romanico, la quale ha tuttavia subito rimaneggiamenti nel corso del tempo.

L´intonaco che ricopre tutti i prospetti della chiesa ha nascosto ogni possibile indizio dello stato originale.

La copertura è realizzata con una struttura lignea e manto in lose a spacco naturale.

Il piccolo campanile, che ha mantenuto il paramento in pietra a vista, riprende, pur nella sua semplicità, caratteristiche architettoniche tipiche dei campanili romanici: ha lesene angolari e fasce marcapiano costituite da cornici a dentelli e archetti pensili in pietra che definiscono campi rettangolari.

All’originaria piccola aula orientata ad est è stata addossata in epoca moderna quella attuale, priva di abside e orientata a nord.

La cappella si può datare alla metà del secolo IX, per il tipo di muratura, di campanile e di pianta, simili alle cappelle della Novalesa.

L’edificio primitivo venne ampliato nel corso dei secoli; il campanile a pianta quadrata, piuttosto basso, presenta quattro bifore chiuse già anticamente e la cella campanaria con grandi monofore che sembrano il risultato di una antica manomissione.

Le aperture a bifora (dotate di colonnine divisorie e capitelli lapidei) sono chiaramente leggibili dall´interno, ma completamente tamponate sul filo della muratura esterna. L´ultimo livello è adibito a cella campanaria e probabilmente presentava aperture a bifora, poi sostituite da larghe aperture archivoltate per permettere il passaggio delle campane.

Gli affreschi della seconda metà del 1300 con il ciclo degli apostoli, che solitamente veniva dipinto nell’abside, qui sono stati eseguiti sulla volta, sfruttando la sua forma a carena.

A causa di infiltrazioni di acqua, furono ridipinti alcuni apostoli e aggiunti un santo vescovo ed un santo benedettino (forse san Basilio e san Benedetto), probabilmente nella seconda metà del 1600.

Ancona della Madonna della Losa

Dall’antica Certosa proviene un raro e complesso altarolo ligneo (realizzato secondo la tipologia del vesperbild, altare a baldacchino) ricondotto a uno scultore della Germania meridionale della prima metà del XV secolo, Meta dei pellegrini che si recavano alla cappella, ora custodita presso il Museo Diocesano di arte sacra di Susa.

Misura (m 1,50 x 0,80 circa) e fornisce un prezioso esempio di altare a baldacchino, con sportelli articolati, costituiti dai due pannelli superstiti, che chiudevano i fianchi dell’edicola, e da altri due, adorni di pitture, che chiudevano il prospetto.

Due sportelli dipinti con scene della Passione (a sinistra Cena, Lavanda dei piedi e Cattura di Gesù; a destra Gesù davanti a Pilato, Incoronazione di spine e Flagellazione).

Nel pannello centrale sono inserite sculture rappresentanti la Vergine addolorata seduta e circondata da gruppi di piccoli personaggi che raffigurano momenti diversi della passione, crocifissione, deposizione nel sepolcro.

In alto la crocifissione con due angeli i due ladroni, san Giovanni e la Maddalena; più in basso la Chiesa che raccoglie il sangue che zampilla dal costato del Cristo, dall’altro lato la Sinagoga con occhi bendati e in mano la antica legge (iconografia tipica della statuaria gotica francese e renana del XIII e XIV secolo), poi le statue di Longino, di un pretoriano e di due soldati con armature dell’inizio del 1400.

Al di sotto della Vergine, il Cristo giacente sul sepolcro, circondato da due angeli e sullo sfondo le tre Marie.

Chiesa Madonna dell’Ecova - Madonna della Quà

La seicentesca chiesetta della Madonna dell’Ecova si trova sulla strada che da Susa sale verso il Rocciamelone poco sopra l’abitato di Urbiano nel comune di Mompantero.

La Chiesa di Madonna dell’Ecova prenda nome dalla voce excavatum, essendo presenti in zona grotticelle artificiali scavate nei depositi morenici che ricoprono il versante.

Giunti a Susa si prende la strada per il rifugio La Riposa sulla via per il Rocciamelone che oltre il passaggio a livello subito raggiunge Urbiano, borgata del comune di Mompantero.

Rimanendo sulla strada che lascia l’abitato restringendosi man mano che si sale, con alcune svolte ascendenti e lunghi traversi si raggiunge la chiesetta della Madonna dell’Ecova, nei pressi della quale conviene lasciare l’auto.

Pietra incisa

Sempre in località Madonna dell’Ecova, vicino a sentiero è presente un lastrone stabile affiorante grossolanamente rettangolare, inclinato ed esposto a sud, di 220 x 110 cm che presenta un incisione unica nel suo genere, tra le più interessanti della Valle.

Sulla superficie sono incise 3 spirali (una spirale criptica, una a labirinto e una semplice), un immagine antopomorfa che rappresenta Cristo in croce, 2 croci e 2 lettere, una data o numero (18066) e 8 canaletti.

Sulla parte posteriore è appoggiato un muretto a secco di terrazzamento, mentre la superficie, quasi liscia, è lievemente ondulata.

Si nota subito una notevole differenza fra i vari elementi presenti: appaiono più profonde, e anche più recenti, sia le due croci che le lettere e i numeri, incisi profondamente a martellina. Le spirali e il Cristo in Croce denotano fattura molto regolare e accurata, anche se ormai consumata e a margini completamente abbattuti. Le poche martellinature evidenziabili sono abbastanza grosse, e con diversa campitura da incisione a incisione.

Le figurazioni a spirale e a labirinto sono presenti in molti siti europei, con riferimento prevalente al Neolitico - età del Rame, ma anche a quasi tutti i periodi della preistoria e non solo. Non è però da escludere in questo caso, unico di tale fattura in Valle, un collegamento tra le spirali e il Cristo in Croce, con una conseguente unitaria interpretazione.

Solo in condizioni di luce radente si notano a fatica otto canaletti ormai quasi scomparsi, che potrebbero essere ciò che rimane di una sottoposta figura spiraliforme di più rozza fattura.

La pietra è stata oggetto di recenti scavi archeologici di superficie, coordinati dalla Soprintendenza, alla fine dei quali è stato fortunatamente eseguito un calco integrale in elastomero e resina poliestere grazie alla collaborazione del laboratorio di Paleontologia Umana dell’Università di Torino.

Successivi atti vandalici infatti ne hanno cancellato la spirale più piccola (luglio 89), e graffito rozzamente il Cristo in Croce.

Forte di Santa Maria

Susa è posta alla confluenza dei tracciati di due importanti valichi con l’Oltralpe: il Colle del Moncenisio (ingresso in Italia da Savoia e Francia del Nord) e il Colle del Monginevro (che metteva in comunicazione con la Francia del Sud tramite il Delfinato).

Su un altura a sud di Susa vi è l’antico Forte di Santa Maria.

Alla fine del XVI secolo le vetuste fortificazioni urbane risultavano ormai del tutto inadeguate a sostenere un assedio. Per tale ragione nel 1590 venne eretto, sull’Altura delle Combe, in posizione di dominio dell’abitato e di controllo della strada del Moncenisio, un nuovo impianto fortificato.

Il fronte principale era composto di due mezzi bastioni, difesi da un fossato, fra i quali si apriva la porta principale, difesa da un rivellino.

La piazza interna, alle spalle di un secondo fronte, ospitava i fabbricati per il servizio della fortezza: il governo, magazzini, quartieri.

Forte della Brunetta

Nei primi anni del Settecento lo Stato sabaudo era uscito vincitore dall’assedio condotto dai francesi contro la città di Torino e, contrattaccando, aveva conquistato e riannesso ai suoi territori le alte valli di Susa e del Chisone che da secoli giacevano sotto il dominio francese.

Dopo la riconquista, diventava necessario erigere delle fortificazioni per bloccare un eventuale ritorno dei transalpini.

Malgrado il positivo collaudo del Forte di Santa Maria, durante l’attacco del Lesdiguières nel 1593, la capacità difensiva dell’opera risultava fortemente limitata dal dominio esercitato dall’altura della Brunetta, come dimostrarono gli assedi del 1690 e del 1704.

Si decide così, di inziare, proprio sulla collina della Brunetta, tra il 1708 e il 1709, con la guerra di Successione di Spagna ancora in corso, i lavori per la costruzione di un nuovo forte: il forte della Brunetta, che integrerà nel suo sistema difensivo il vecchio forte cinquecentesco di Santa Maria.

Il luogo su cui sorse fu scelto con estrema attenzione: fuori dalla gittata di qualunque artiglieria ed irraggiungibile se non attraverso uno stretto accesso protetto dal Forte di Santa Maria.

Nasceva un’opera imponente: una fortezza dalle dimensioni e dalle caratteristiche mai viste prima che sarà per lungo tempo considerata imprendibile e che vide protagonisti nella direzione dei suoi lavori tutti i principali ingegneri del Regno di Sardegna: Antonio Bertola, Luigi di Willencourt, Ignazio Bertola, Pinto di Barri e Nicolis de Robilant.

Una perla delle fortificazioni sabaude: immensa e inespugnabile. Carlo Emanuele III di Savoia la chiamava scherzando la mia aspra verginella proprio a significare la sua assoluta inviolabilità.

Le tecniche di assedio prevedevano la distruzione dei bastioni da parte dei cannoni d’assedio e, attraverso le brecce create, l’assalto della fanteria, ma i bastioni di roccia del Forte dell Brunetta erano intaccabili dai cannoni a palla di allora e quindi l’assedio avrebbe dovuto avere la forma di un isolamento per fame e sete.

Grandi erano però le scorte alimentari e di acqua stipate nel Forte. Addirittura era previsto un parco bestiame che poteva pascolare tra i bastioni interni al Forte.

Il forte della Brunetta fu pronto circa 30 anni dopo la posa della prima pietra e divenne uno dei più importanti sistemi difensivi del Piemonte (insieme al complesso fortificato di Exilles, quello di Fenestrelle e a quello di Vinadio) e tra gli esempi più insigni dell’arte fortificatoria del XVIII secolo.

I lavori non procedettero secondo i piani a causa di un infinità di imprevisti, sabotaggi e fatti misteriosi ne rallentavano la costruzione. Gli operai e la stessa popolazione si convinsero così che vi fosse qualche forza occulta contraria alla sua edificazione.

L’ altura della Brunetta, il sito prescelto per ospitare il nuovo forte, era una collina dalla roccia messa a nudo dall’erosione glaciale, che sovrastava dal fianco nord la cittadina di Susa.

L’opera incluse il vecchio forte S. Maria, protagonista di numerosi eventi bellici che però l’avevano lasciato in rovina-

Il forte era in realtà una vera e propria cittadella militare estesa più di 300000 m², con chiesa, caserme e un ospedale e possedeva bastioni in grado di fermare le artiglierie dell’epoca scolpiti direttamente nella viva roccia. I bastioni si chiamavano San Pietro, San Lazzaro, San Maurizio, Sant’Antonio, Santa Maria.

Ai tre fronti principali verso occidente, difesi da un sistema di contromina, seguiva il più elevato forte dell’Aquila, difeso verso est da due fronti bastionati. In questo corpo centrale furono collocati il palazzo del Governo, il padiglione dello Stato Maggiore, la cisterna e i forni, la chiesa del Beato Amedeo e il gran pozzo. I quartieri della guarnigione furono invece edificati all’estremità orientale del complesso.

Divenne meta di illustri visite come quella dello Zar di Russia, dell’Imperatore d’Austria e del Re di Napoli, tutti estasiati e meravigliati dall’imponenza della costruzione.

Sia l’imperatore austro-ungarico Giuseppe II che visitò la fortezza nel 1769 sia lo zar russo Paolo I che vi soggiornò nel 1791, ne furono sinceramente meravigliati.

Il forte non sparò mai neanche un colpo, si può ipotizzare anche per il suo forte ruolo dissuasore.

Nel 1747 l’esercito francese tentò di oltrepassare gli sbarramenti della Brunetta di Susa e di Fenestrelle passando sullo spartiacque tra le rispettive Valle di Susa e Val Chisone, dal Colle dell’Assietta, dove fu combattuta l’omonima battaglia.

Durante le campagne napoleoniche l’esercito francese transitò invece dal colle del Gran San Bernardo investendo il forte di Bard.

Nel 1796 Napoleone, sconfitto il Regno di Sardegna, con l’armistizio di Cherasco del 28 aprile 1796, che mise fine alla guerra franco-piemontese, impose la distruzione di tutte le fortificazioni del regno, compreso il forte della Brunetta.

Nel 1796 i francesi occuparono la fortezza evacuandovi le guarnigioni piemontesi che la occupavano e iniziò un lungo carteggio con il governo di Torino che tentò di evitarne la distruzione, quantomeno dei fabbricati civili.

La distruzione delle fortezze venne deliberata a carico dell’erario sabaudo, per Susa in particolare venne addirittura decisa in un primo tempo, la demolizione della cinta romana, delle torri e del castello della marchesa Adelaide, poi accantonata in cambio di quella del forte di S. Maria.

Ad un certo momento i francesi pensarono ad una demolizione dell’intera città poi, fortunatamente, l’idea fu abbandonata.

Il governo sardo si battè per salvare il salvabile, ma non servì a nulla. Alla fine della guerra della Alpi, dopo circa un secolo di continui lavori di potenziamento, le clausole della pace di Parigi del 1796 sancirono la fine della Brunetta, che fu demolita con le mine.

Con la restaurazione fu decisa la ricostruzione dei forti distrutti (come il forte di Exilles) ma non di quelli di Susa, ormai resi inutili dalle moderne tecniche di guerra introdotte da Napoleone.

Oggi ne restano solo tracce le murarie e gli imponenti sbancamenti della roccia, che non hanno potuto essere cancellati dallo smantellamento.

Il sito del forte è oggi è proprietà privata e comprende un’area di circa 12 ettari nella quale trovano spazio frutteti, orti, boschi, prati e scuderie, immersi, qua e là, tra le rovine di quella mitica opera militare che in passato fu considerata la più prestigiosa d’Europa. Vi si conservano i resti della chiesa e la casa del Governatore, oltre ad alcuni muri e strutture militari.

Il Borgo Traduerivi (Sec. XIII)

Fuori dalle mura urbane di Susa, a circa 4 km sud est della città, accessibile dalla strada statale 24 del Monginevro, si trova il borgo di Traduerivi, che conserva un aspetto medioevale.

L’origine del nome del borgo è controversa. Alcuni sostengono che derivi dalla posizione geografica della borgata, delimitata da due torrenti (o rivi): il Rio Corrano (Corrant o Corrente) e il Rio Scaglione.

Toponimo attestato in alcuni documenti dell’Abbazia di Novalesa, nei quali viene indicato come Intra duos Rivos. Altri ritengono abbia invece origine da un’errata traduzione della parola in patois Tourdurì (in italiano Torre del Rio). La presenza sia delle torri che dei rivi rende plausibili entrambe le etimologie.

La frazione nel medioevo fu feudo delle famiglie Ancisa e De Bartolomei che fecero realizzare sul territorio due castelli. La casaforte della località Giusti fu prima proprietà della famiglia omonima e poi dei Francobello, originaria di Avigliana.

Costruzioni storiche si trovano all’interno delle località: borgo vecchio di Traduerivi, i Giusti, il Colombé (Colombera). In particolare nella borgata Colombera vi sono i resti di un antico palazzo con torre merlata, residenza delle famiglie citate.

Ricetto di Traduerivi

Costruzione delle famiglie Bartolomeis (De’ Bartolomei) e De Rubeis presenta due entrate (una a nord-ovest l’altra a sud-est) e diversi cortili con costruzioni interessanti. Su una di queste è presente la data 1850 che indica dei possibili rifacimenti architettonici in loco.

Casaforte (Casa a corte) dei Giusti

Appartenente alla famiglia Giusti e poi a quella nobiliare aviglianese dei Francobello si presenta come un piccolo borgo rurale che comprende: un magazzino per strumenti e attrezzi agricoli (chiesale); le abitazioni (grangia); stalle e fienili; cantina, toraggio (per i tini) e il cellaro (dispensa).

Ricetto e torre merlata del Colombé

Presenta cortile e abitazioni affacciate su di esso. Risalente al 1300 e proprietà delle famiglie Ancisa e De Bartolomei.

Monumento Sacro Cuore di Gesù

Nel 1945, terminata la seconda guerra mondiale, la Valsusa cattolica volle esprimere la riconoscenza per l’ottenuta liberazione. Venne quindi eretto un monumento per ricordare i caduti valsusini del terribile conflitto.

La località più adatta venne individuata nella vetta del Monte Fasolino nel Comune di Meana di Susa. Un punto panoramico con lo sguardo sulla conca di Susa dall’Ambin al Monte Musiné.

Il Comune di Meana erogò all’epoca ben 80 mila lire che con altre offerte concorsero alle spese per la costruzione.

La realizzazione dell’imponente statua, è alta 3,80 metri, fu affidata allo scultore Guido Capra secondo il progetto dell’ingegnere Nesci.

La fusione avvenne utilizzando circa undici quintali di materiale offerto dal Ministero della Difesa, mentre il carbone fu offerto dalle Ferrovie dello Stato e la cera dai parroci della diocesi.

La statua, venne trasportata da Torino a Susa a cura di un gruppo di operai dell’ASSA.

La solenne inaugurazione avvenne il 6 giugno 1948, alla presenza di migliaia di pellegrini giunti da ogni parrocchia della valle.

L’opera consiste in un basamento tronco piramidale, sul quale si elevano nove colonne di granito raggruppate in tre fasci e una colonna centrale che sorregge la statua. Appoggiata sulle colonne vi è una piattaforma circolare che fa da basamento alla statua.

Lungo il bordo una scritta in capitale romano a lettere di bronzo recita: “Venite ad me omnes A. D. MCMXLVIII”.

Pietra Maria

Partendo dal centro storico di Susa percorrendo la via Francigena in direzione Gravere, dietro a Frazione Morelli di Gravere è possibile ammirare il masso erratico Pietra Maria.

Meana di Susa

Come Susa, anche Meana - l’antica Mediana - era già abitata in epoca romana e citata nel 1212 (atto di confinazione di casa Savoia da parte del Conte Tommaso); in questo periodo rientrava nella castellania di Susa.

Torre delle Combe

La Torre delle Combe, torrione quadrato di origine medievale e dall’aspetto di fortificazione militare, probabilmente non ebbe mai funzioni difensive ma è quasi certamente di una delle molte torri di segnalazione che servivano a comunicare le notizie lungo tutta la valle, fino a Torino, mediante l’accensione di falò.

Ne rimangono le rovine in mezzo alla vegetazione: rilevante è una parte di parete con un’apertura.

Cappella di San Costanzo

La Cappella di San Costanzo fu un tempio pagano, modificato nei secoli che oggi ha l’aspetto di una cappella campestre, con il tetto a due spioventi, intonacata esternamente, con un campaniletto barocco.

Nella Cappella sono conservate due lapidi sepolcrali di epoca romana. Ai piedi del poggio su cui sorge fu rinvenuta una tomba.

L’antica chiesa delle Sarette

All’interno dell’Abitato delle Sarette si erge un edificio, forse un’antica chiesa, in cui, al centro di quella che probabilmente era l’abside, si apre una bifora di pietra lavorata. Il capitello della colonna centrale è costituito da una rozza testina; al centro dell’architrave è scolpito uno scudo con la croce dei Savoia e, accanto, un giglio di Francia di rozza fattura.

La chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta (sec. XI)

L’ antichissima Parrocchiale di Santa Maria Assunta, si eleva in regione Travot e fu quasi del tutto ricostruita nel sec. XVIII. Nell’attuale chiesa barocca è conservato parte del campanile romanico.

Come arrivare

Il modo migliore per visitare Susa e scoprire i suoi tesori è a piedi. Camminando lentamente tra le vie, i borghi e i reperti storici sparsi un po’ ovunque. È possibile arrivare in auto o anche in treno.

In auto

Percorrendo la tangenziale di Torino imbocca la A32 in direzione Traforo del Frejus, ed esci a Susa, in alternativa da Torino puoi prendere l’uscita ad Avigliana Ovest e percorrere indifferentemente la S.S. 24 o la S.S. 25. Per chi arriva in auto, un parcheggio comodo e gratuito è quello di Piazza Conte Oddone.

In treno

Susa è collegata dalla stazione ferroviaria a Torino. La stazione di Susa è un fine corsa, da Bussoleno infatti partono 2 diramazioni ferroviarie: una che va verso Bardonecchia e l’altra che finisce a Susa, la stazione successiva a Bussoleno. Una volta arrivato alla stazione di Susa ti troverai a due passi da centro storico.

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Alessandro Lussi
Di origine friulana e calabrese, risiedo a Torino.
Copywriter professionista, ho smesso di lavorare come programmatore per dedicarmi full-time alla mia passione: la scrittura.